Dott.ssa Priscilla Berardi medico, psicoterapeuta, sessuologa  Cell.+39 349 5455417

Ma prima o poi si impara?

Domanda di Anto del 01/07/2012

Perché, quando ci troviamo ad attraversare momenti della vita particolarmente complessi e difficili, sia dal punto di vista sentimentale, che lavorativo, che esistenziale, dopo aver speso tempo ed energie a cercare soluzioni al problema, analizzando noi stessi e le situazioni in cui ci troviamo, interrogandoci su responsabilità mancate o aspettative disattese e possibili strategie di reazione, rivoltandoci come calzini per scoprire angoli ancora sconosciuti e talvolta poco graditi di noi stessi e ripulirli da eventuale polvere o scheletri che vi abbiano messo su casa, invece di completare il cammino di ‘risalita’ da noi stessi, troviamo più semplice e risolutorio appigliarci al primo segnale di svolta che troviamo sulla strada pensando che ci indicherà più rapidamente e agevolmente la via d’uscita, talvolta rischiando di perderci di nuovo e di dover ricominciare tutta la strada da capo, non facendo tesoro del percorso e delle esperienze già compiuti??


Non è affatto facile cambiare comportamenti e meccanismi a cui siamo abituati e che magari per un lungo periodo della nostra vita, in altri ambiti, ci sono stati utili o benefici.
Forse quel "segnale sulla strada" è l'unico segnale che siamo addestrati a riconoscere e in quel momento ci sembra la via più breve e più facile da percorrere. Storditi dalla sofferenza e dalla ricerca di qualcosa che al più presto blocchi il nostro dolore, ci sembra di non avere l'energia per tentare soluzioni differenti o per individuarne di nuove. E' un po' come se mettessimo il pilota automatico e ci facessimo portare sulla rotta che già conosciamo.
Del resto, fino a quel momento, abbiamo sempre seguito quel "segnale" perché era una risposta ai nostri bisogni, perché colmava dei vuoti, perché placava le nostre ansie, perché almeno all'inizio ci faceva stare meglio. O perché pensavamo ogni volta che, anche se ne vedevamo i lati negativi, noi saremmo stati capaci di cambiare le carte in tavola, di far funzionare i giochi in modo diverso. Ma niente dipende solo da noi e dalla nostra volontà.

Finché non abbiamo "capito" nel profondo, e non solo razionalmente, quali sono le ragioni che ci spingono a scegliere le stesse strade, a calarci negli stessi ruoli, a giocare le stesse partite... Finché tutto quel lavoro di analisi e di riflessione, quel rovello che lei benissimo descrive, passa dalla testa e dagli occhi e resta qualcosa che si osserva e si tocca, come se fosse esterno a noi, e non diventa invece parte di noi... Finchè non avremo sperimentato percorsi per noi nuovi, che magari temiamo e consideriamo rischiosi... Finché non apprendiamo a voler bene a noi stessi e a liberarci dalle "dipendenze"... continueremo a rifare sempre lo stesso cammino, anche se con piccole varianti.

La metà del lavoro è sicuramente il poter prendere consapevolezza che in quel luogo ci siamo già stati e non vogliamo tornarci. L'altra metà, se la sofferenza è grande e il luogo l'abbiamo già visitato più volte, è fermarsi davanti al "segnale", tentare di guardarlo con lenti diverse, non sopravvalutare le nostre energie e le armi a nostra disposizione e, possibilmente, farci aiutare da una persona competente (alludo a un terapeuta) che ci accompagni fino in fondo al percorso.
E ricordarsi che comunque, delle nostre esperienze passate, nulla è stato vano.