Dott.ssa Priscilla Berardi medico, psicoterapeuta, sessuologa  Cell.+39 349 5455417

Due modi diversi

Domanda di No Problem del 18/07/2012

Buongiorno dottoressa, ho una curiosità che mi sta assillando, ma non è un vero problema. Sono sposata da 4 anni dopo 2 di fidanzamento, senza figli. Faccio parte di una famiglia numerosa per cui sono abituata a condividere la vita con le mie sorelle e molte altre persone, anche nella vita di tutti i giorni, mentre mio marito è figlio unico, come unici parenti i genitori e una nonna che lo ha amato e viziato.

Il mio non-problema è che, mentre io mi sento più coppia e realmente mi rendo conto di pensare la vita come fossi fatta di due entità, lui concepisce le sue scelte - anche di vita quotidiana come l'ora di mangiare o il vedere o no un film in tv - autonomamente, come se fosse solo, salvo poi ravvedersi quando se ne rende conto. Mi sono guardata intorno e ho notato che i figli unici pensano il mondo come se ne fossero il fulcro. Non sono sicura che sia una conseguenza della sua educazione, o un atteggiamento caratteristico del maschio.
So che ci sono problemi peggiori, ma questo atteggiamento è stato più volte motivo di lite e frustrazione da parte mia, ma si può pesare l'amore dai gesti? Devo educarlo o lasciare che faccia da solo?
Grazie per l'attenzione
Carrie & Big

 

Gentile Carrie (& Big),
è interessante la sua domanda... Una situazione apparentemente banale, un "non problema", di fatto diventa, se si sente ferita e frustrata, un problema.
Non ho sufficienti elementi per stabilire il motivo del comportamento di suo marito. Senz'altro i fattori che lei elenca (figlio unico, molto coccolato, abituato a pensare per sé...) contribuiscono, ma potrebbero esserci anche altri fattori che in questa sede non siamo in grado di indagare. D'altra parte, lei ha una modalità diversa che spiega con l'abitudine a condividere tutto perchè vissuta in una famiglia numerosa, e per alcuni condividere tanto è già troppo. Due modi, dunque, opposti e apparentemente inconciliabili che impongono di scegliere o l'una o l'altra modalità. "O... o...".

Ma non possiamo stabilire quale sia il comportamento giusto e quello sbagliato, sono semplicemente due procedure diverse e consolidate che, a seconda dei punti di osservazione, possono risultare eccessive o apprezzabili. E ognuno di noi misura il sentirsi in coppia secondo propri parametri e indicatori, per cui non significa che uno si senta meno in coppia dell'altro: ci si sente nel suo modo.

Teniamo presenti alcuni altri particolari: uno è che suo marito agisce in modo automatico e inconsapevole, spinto da una sorta di abitudine radicata, senza la finalità di offendere; inoltre è in grado di riconoscere il suo atteggiamento e cambiarlo temporaneamente, indicando disponibilità a spostarsi dalla sua posizione. L'altro particolare significativo è la sua idea di "educarlo", che la pone in un ruolo scomodo, a metà tra il genitore e l'insegnante di suo marito, togliendola da quel ruolo paritetico che elimina il giudizio e aiuta la comunicazione e la costruzione.

Poiché i vostri modi di agire (condivisione versus indipendenza) sono inveterati, sono probabilmente anche necessari al vostro benessere personale e pertanto parzialmente irrinunciabili. Chiunque di voi due aderisca totalmente alla modalità dell'altro snatura se stesso.

Sembrate due persone desiderose di venirvi incontro e garantirvi rispetto reciproco, pur continuando a rispettare voi stessi. Credo, quindi, che l'unica via possibile sia quella di incontrarvi a metà strada, costruire una terza modalità che sia quella della coppia e non più quella personale di ognuno di voi.
E allora vi suggerisco di raccontarvi con sincerità, nel tentativo di conoscervi più approfonditamente, come vi sentite quando dovete agire l'uno nel modo dell'altro, cosa significa per voi agire nel vostro modo, individuare quali vantaggi porta ciascuna modalità in una serie di situazioni (ad esempio: fare le cose insieme può portare a una suddivisione dei compiti e quindi a dimezzare il lavoro o svolgerlo in compagnia e quindi più allegramente; essere autonomi porta a sapersi organizzare se l'altro non c'è e non sentirsi persi in un bicchier d'acqua), quali spazi siete disposti a lasciare per incontrarvi a metà strada, cosa avete bisogno di conservare delle vostre modalità.
Potreste darvi poi delle regole, stabilendo alcuni momenti di incontro comune o attività stabili che svolgete insieme (ad esempio: giorni in cui si cena insieme, e giorni in cui si è liberi di scegliere autonomamente o si deve patteggiare). Potete invitarvi anche, a volte, negli "spazi" l'uno dell'altro, senza che ciò sia scontato o abitudine, bensì nella consapevolezza che fare qualcosa da sé non significa dimenticarsi dell'altro.
Potreste concordare regole anche per le decisioni importanti: che cosa si può scegliere da soli perché chi decide riceve carta bianca dall'altro che ha piena fiducia delle scelte del partner, e quando è imprescindibile convocarsi e consultarsi perché la scelta richiede l'uso di due teste?

Si tratta, insomma, di abbandonare l' "o...o..." e abbracciare l' "e... e..." nella considerazione che ognuno dei vostri schemi di azione è prezioso in determinate situazioni e costituisce ricchezza e non impoverimento.